LE FARCHIE: STORIA E ORIGINI
Analizzando l'origine etimologica della parola farchia,
questa potrebbe derivare da forchia che tuttora nel dialetto di
Palena significa caprile - dal latino fùrcula, da cui farchia, in relazione
alle canne intrecciate che delimitano il caprile nella stalla; oppure da
farchjie - canna palustre con cui si impagliavano le sedie o si bruciavano le
setole del maiale. Di conseguenza è detta farchie la fiaccola di canne che si
bruciava la notte di Natale o durante la festa patronale.
A Rapino, ad esempio, il fascetto di canne infuocate,
utilizzato per bruciare le setole del maiale scannato viene chiamato firchjie.
Le farchie di Fara sono dei fasci cilindrici di canne legati
con rami di salice rosso aventi generalmente un diametro di 70-100 centimetri
ed una lunghezza di 7-10 metri.
Analizzando la struttura architettonica della farchia se ne
ricavano le seguenti parti:
-anima della farchia
-pancia della farchia o fusto-piede
-cima della farchia.
Risulta estremamente interessante questa nomenclatura che
sembra poter essere corrisposta a quella dell'uomo:
-anima della farchia = anima dell'uomo
-cima della farchia = capo, testa
-pancia della farchia o fusto = corpo o busto
-piede = piedi
Questa analogia ci risulterà utile quando andremo ad
analizzare i significati simbolici della farchia.
Ad un occhio attento non sfugge comunque che l'aspetto
tecnico-costruttivo più interessante della farchia si racchiude
nell'assemblaggio delle canne (scivolose e flessibili) e nell'esecuzione dei
nodi con i rami di salice rosso. L'inizio della costruzione coincide con la
scelta di un palo di legno dritto (come vedremo questo componente ligneo è
molto importante per il significato simbolico della farchia) chiamato anima
della farchia che viene rivestito da fascetti di canne sino ad ottenerne un
fascio di un certo diametro (dai 40 a 60 centimetri). Alcuni costruttori di
farchie mi hanno riferito che questa fase è molto importante poiché il diametro
dell'anima è determinante per il diametro finale della farchia.
Si fanno due legature con due funi, le funacchie, ad una
distanza di circa 40 centimetri a partire dalla base del palo ligneo centrale,
cioè dell' anima. Le funi vengono strette con forza e poi sostituite da rami
vivi di salice "torti" a fuoco, cioè ammorbiditi e piegati alla
fiamma. Questi rami vengono poi annodati con perizia e capacità che possono
essere
acquisiti solo con la pratica e l'apprendimento mediante
imitazione. In questa fase già compare l'altro elemento iniziatico: infatti
l'esperto trasmette didatticamente le sue conoscenze con l'esempio a quello che
gli sta vicino e lo aiuta mentre entrambi esibiscono la forza muscolare e
l'intelligenza.
Man mano che la farchia cresce le canne vengono sempre più
pressate e sistemate con accortezza facendo in modo di non far notare i giunti,
di posizionarli ad una distanza regolare e ordinata (non sfugge il perfetto
allineamento dei nodi). Ma è oltremodo difficile mantenere la perfetta forma
cilindrica della farchia che sarà poi evidente a tutti soltanto con
l'innalzamento mentre in questa fase di confezionamento soltanto chi è esperto
può riconoscerla ed intuirla. Le canne, quindi, devono essere perfettamente
allineate, soprattutto al piede, la cui perfetta complanarità permette alla
farchia di sostenersi senza problemi di eccentricità. L'inclinazione della
farchia o la sua deformazione suscita la derisione e gli sfottò degli altri
contradaioli: ha fatte la panze.
Riconoscendo al tronco la funzione di armatura dell'intera
farchia, in quanto elemento rigido di sostegno alle canne, si può ipotizzare
un'origine diversa della sua esistenza. Nel gergo è definita "anima",
cioè "essenza" della farchia, facendo intuire quanto sia importante
per la "vita" stessa della farchia: in effetti con un tronco poco
consistente la farchia si inarca, si piega mostrando la sua debolezza. Il
tronco, quindi, è l'essenza di essa, come a dire che è l'albero -
simbolicamente e fisicamente rappresentato dal tronco - il sostegno della
farchia. Questa riflessione ci porta a concludere che la farchia nasconde in se
un antico elemento ritualizzato, legato al culto degli alberi.
In effetti anche in una interessantissima leggenda su
Sant'Antonio si parla di querce trasformate dal santo in fiamme vive, come una
sorta di riello, per spaventare i soldati francesi. Le "querce", che
per antonomasia ricordano la Selva di Fara (distrutta agli inizi del '900)
hanno sbarrato il passo agli invasori proteggendo l'intera comunità con
l'intervento del santo che apparve sopra di esse. La legna di quercia, come
abbiamo già detto, serve ad alimentare il fuoco acceso dai contradaioli; il
fuoco quindi può alimentarsi principalmente con questo tipo di combustibile
che, per opinione comune ed a ragione, è quello più resistente a consumarsi e
quello che produce più brace.(1)
È opportuno soffermarsi anche sugli altri materiali
costituenti la farchia: le canne e i rami di salice.
Prima di avventurarci in analisi interpretative, è
necessario ricordare come nella vita domestica contadina questi due elementi
vegetali siano combinati.
Con le canne ed i virgulti di salice si confezionano diversi
oggetti materiali di uso domestico e lavorativo (cesti, cannelle per botti,
grate per essiccare i fichi, ecc.); entrambi possiedono una versatilità
notevole e risultano perciò utilissimi per la confezione di una vasta gamma di
utensili necessari all'attività agricola. Il contadino, in sostanza, poteva
procurarsi o realizzare strumenti che gli erano fondamentali per la sua
attività che andavano dal semplice e fondamentale "legame" di salice
per tenere insieme fasci d'erba o affastellare i rami di vite, a tutti gli
attrezzi lavorativi, non ultimi le sderrazze (una sorta di coltello che serviva
per eliminare le setole e l' epidermide del maiale appena scannato prima di
procedere alla lavorazione delle carni, oppure per togliere il fango dalle
scarpe). Da queste due specie vegetali si ricavavano molte cose e oggetti
materiali a costo zero, ecco perché in prossimità di vigne o di aie troviamo
documentate coltivazioni di canneto e varie descrizioni di alberi di salice già
dai documenti quattrocenteschi.(2)
Per la cultura popolare la canna rappresenta la
flessibilità, l'incendiabilità e la velenosità. Si distingue con chiarezza la
canna debole (quella fluffe) da quella sana. Notoriamente le canne di collina,
quelle rosse, sono più resistenti di quelle di fiume. La canna veniva raccolta
in gennaio e serviva per sostenere le viti, i legumi o altri ortaggi - i quali
si incannavano. Alla canna si appoggiavano gli anziani soprattutto quando
andavano per i campi: si riteneva infatti che la canna mettesse in fuga i serpenti.
Solo la canna può "uccidere" i serpenti che appena toccati da essa
muoiono - la serpe Si' more nghe la canne e no nghe la ramate - Con le canne si
realizzavano i recinti delle aie, le fratte, per delimitare i campi coltivati.
Le sue foglie erano utilizzate come foraggio per il bestiame mentre l'anima
della canna (un dischetto di cellulosa che si trova all'intemo dello stelo, tra
i due nodi) serviva per fermare le emorragie in caso di ferita. La canna
comunque è velenosa: se una sua scheggia trafigge l'avambraccio, le ferite
provocate dalle schegge aguzze tardano a guarire suppurando più volte.
Nel trattato di Iconologia di Cesare Ripa del 1608 il
"pericolo" viene rappresentato da un giovane che cammina sull'orlo di
un precipizio appoggiato ad una canna. La canna dimostra la fragilità della
nostra vita, continuamente ai pericoli perché spesso si appoggia a cose e
fragili(3). Oppure nell'allegoria dell'inimicizia mortale lo stesso autore
ritrae le canne e le felci nemiche nella natura, perché, dice, le
felci tagliate con la canna non rinascono più"(4).
Sembra che con quest'ultimo significato si voglia ribadire
la tossicità della sua fibra.
Anche per la simbologia cristiana la canna rappresenta la
debolezza.
Nella mitologia greca Siringa fu trasformata in canna: la
divinità si trasforma in un essere vegetale (canna o albero) che a sua volta
diventa sacrale e per tale è venerato(5):
"Pan inseguì un giorno la casta Siringa. Quando stava
per raggiungerla, essa corse dal padre, il fiume ladon, e lo supplicò di
trasformarla in canna. Essendo stata esaudita, Pan non riuscì a distinguerla in
mezzo alle canne che costeggiavano il fiume; allora ne tagliò parecchie e con
esse costruì la siringa, il flauto di Pan"(6).
Non è da sottovalutare la straordinaria somiglianza formale
della canna al frumento. Entrambi hanno il fusto nodoso, hanno foglie analoghe;
mentre il frumento ha la sua parte più preziosa nella spiga, la canna ha il suo
vigore nella radice tuberosa che si espande con rapidità - lu cannare
s'allareghe -; il "pennacchio" della canna è una copia
"sterile", apparentemente improduttiva, della spiga. Il canneto visto
a dicembre e gennaio, da una certa distanza ricorda allusivamente il campo di
grano: di colore bruno-dorato come un campo ingigantito di grano maturo. Il
taglio del canneto, una sorta di "mietitura", avveniva in gennaio
nella stessa epoca in cui in alcune località della Francia si celebrava un rito
propiziatorio molto interessante; alcuni popolani nella giornata del 17
gennaio, si improvvisavano mietitori e, scendendo nei campi, fingevano di
mietere con una certa lena e schiamazzo, con chiari intenti propiziatori(7).
Simbolicamente anche gli altri fingevano di mietere: è chiaro che il gesto
aveva un contenuto magico ed il mietere ritualizzato era un gesto di magia
simpatica. In effetti in dicembre - gennaio il grano germoglia immerso nel
terreno, sviluppa l'apparato radicale la cui robustezza sarà poi importante
quando nei mesi primaverili si innalzeranno gli steli.
È nota invece la vigoria del salice. Un suo ramo appena
infisso nel suolo è capace di germogliare dando origine ad un nuovo albero per
talea; in alcuni casi e in presenza di terreni umidi, è sufficiente che un ramo
poggi al suolo per germogliare, sviluppando radici che leste affondano nel
suolo melmoso o muschioso.
La farchia quindi contiene elementi vegetali che, per
simbologia e analogia, rimandano a significati di fecondità e vigoria. Lo
stesso carattere fallico ravvisabile nella sua forma sembra ribadire questo
significato. La farchia pertanto è un simbolo di forza, di vigore, che contiene
in se gli elementi essenziali della vita, come gli altri modelli di tal genere
sono stati identificati nelle culture passate, e il cui abbruciamento assume i
caratteri di un sacrificio vero e proprio(8).
In effetti il fuoco, più che elemento purificatore, in
questo caso diventa elemento mediatore tra gli uomini e la divinità: si
sacrifica cioè l'elemento avente più forza affinche poi dalla divinità lo
stesso sia ridistribuito in forma di abbondanz;a di raccolto, nella fattispecie
di grano(9).
È un atto di magia imitativa l'usanza praticata in
Bucchianico sino a pochi anni orsono secondo cui dopo aver posto le talee di
rosa nella terra si dovevano porre alcuni semi di grano vicino la base del ramo
che in tal modo avrebbe radicato come i semi.
NOTE
(1) Il carattere sacrale di questo fuoco può ricordare il
fuoco vestale dell'antica Roma; come dice Frazer "è ragionevole concludere
che dovunque si mantenesse nel Lazio un fuoco vestale, questo fosse alimentato,
come a Roma, col legno delle querce sacre". Frazer, 1973, pag. 258.
(2) Ho avuto modo di riscontrare quanto il paesaggio agrario
storico di Fara Filiorum Petri sia stato particolarmente ricco di questi
vegetali, vedasi in proposito M. VV; Cultura antropica e paesaggi agrari tra
'700 e '800, 1996.
(3) Ripa C., 1992, pag. 346.
(4) Ibidem, pag. 194.
(5) Cocchiara G., 1980, pag. 78.
(6) Brosse, 1994, pag 128.
(7) L'antica usanza era rispettata a Valensole il 17
gennaio, festa di S. Antonio, quan- do i meno abbienti inscenavano un
"parodia della mietitura", cfr. M. Vovelle,1986, pag. 62.
(8) "In questo caso vien chiaramente attribuito al
salice il potere di dare alle donne un facile parto e di comunicare energia
vitale ai vecchi e ai malati", cfr. Frazer, 1973, pag. 202.
(9) Per Frazer l'uccisione della divinità è un atto magico.
La natura muore d'inverno e risorge in primavera, seguendo i principi della
magia imitativa queste divinità che impersonavano 10 spirito della natura
devono morire., anzi devono essere uccise per risorgere. Questa pratica era
presente nel culto di Osiride."Un nome di Osiride era il
"raccolto" o la "Mietitura" e gli antichi talvolta lo
spiegavano come una personificazione del grano". Ma Osiride era qualcosa
di più che uno spirito del grano, era anche uno spirito degli alberi. "Si
abbatteva un pino e se ne scavava la parte centrale; con il legno così scavato
si faceva un'immagine di Osiride che veniva poi sepolta come un cadavere nel
cavo stesso dell'albero. L'immagine si conservava e poi si bruciava dopo un
anno. La trasmigrazione del culto di Osiride in Occidente sembra possa
identificarsi con il culto di Dioniso. "Dioniso era anche un dio degli
alberi in generale ...Anche l'edera e il fico erano in special modo associati
con lui". Cfr. Frazer, 1973, pag. 596-611.
FONTE:
https://www.halleyweb.com/c069030/zf/index.php/servizi-aggiuntivi/index/index/idtesto/26
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